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PAPI E BEATI - PAPA GIOVANNI XXIII - L’UMILE GLORIFICAZIONE

INTRODUZIONE

È morto in pace, pensando alla pace. Ha potuto mormorare con gratitudine il Magnificat per quanto riguardava la sua lunga, serena, coraggiosa vita. Ma il suo cuore, sulla soglia dell'eternità, non ha ammesso, di trepidare per i suoi figli che restavano.
Poco prima di morire ha confidato ai suoi intimi che le dolorose esperienze del passato facevano dubitare che fosse finalmente spuntata l'ora in cui si sarebbero risolte le contese senza ricorrere alle armi: «Temo che i miei figli siano travolti da una nuova guerra». Come tutti gli umili, ha lottato con tutto se stesso per l'avvento di un bene che per primo ha donato e giustificato, aiutando tutta l'umanità a ricoprirne il valore; ma non s'e forse reso conto di quanto quella riscoperta abbia penetrato il cuore della nostra generazione, e di come la pace sia diventata possibile e desiderabile non solo in assoluto, ma anche nella misura in cui egli l'ha vissuta e meritata, per sé e per noi.
Tutti hanno compreso che non si trattava soltanto di un testamento, per quanto sublime, ma soprattutto di un'eredità; qualcosa che era stato pagato, che restava, che andava coltivato e fatto crescere in profondità e fecondità. Nell'ora della sua morte, abbiamo riscoperto tutti, in maniera nuova e improvvisa, il significato di parole antiche, sacre e consunte, di cui facevano un gran parlare, ma a cui si credeva, di fatto, sempre meno. Ogni testimonianza cristiana, ogni genuina lezione di cristianesimo ha questo di naturale ed insieme di meraviglioso: che ricrea le parole, le arricchisce di realtà; perché ogni atto di testimonianza cristiana è un'incarnazione della verità. La vita e la morte di Papa Giovanni sono state una delle più concrete ed ìlari incarnazioni di questo genere a cui ci sia stata concessa la grazia di assistere in questi anni. Tutti abbiamo compreso che non si trattava di uno "spettacolo", per quanto patetico e commovente potesse essere, bensì di un esempio alla cui forza di compromissione evangelica non era possibile sottrarsi.
Quello che don Mazzolari aveva definito, appena eletto, «un Papa di carne», era, proprio per questo, il testimone dello spirito, il garante del mondo dell'invisibile e del mistero. Giuseppe Marotta ha detto di lui: «In Papa Giovanni ho ammirato ed amato soprattutto l'uomo, la sua enorme capacità di comprensione e di affetto. Direi che altri Papi mi facevano pensare a statuarie figure del Vecchio Testamento, mentre in Papa Giovanni ho sentito fervere lo spirito essenzialmente d'amore e di fraternità dei Vangeli».
Enzo Forcella ha riassunto acutamente questo dinamismo che il Papa degli uomini ha gettato nel cuore della Chiesa senza paura e senza presunzione: «La Chiesa è un'istituzione complessa. Può rimanere immobile e immutata nei secoli. E poi ritrovate improvvisamente la forza per uno scossone sconvolgente, rivoluzionario. L'eredità di Giovanni XXIII può essere misurata soltanto in questa prospettiva. Ha detto bene un giornalista americano: se il prossimo Pontefice, se tutti coloro che in una maniera o nell'altra vogliono rimanere fedeli al suo insegnamento si muoveranno nella direzione indicata da Giovanni XXIII, il risultato potrebbe essere la liberazione delle più potenti forze spirituali che hanno mosso il mondo da molti secoli».
I consensi sulla "santità" di Papa Giovanni, fin dal momento della sua morte, non si sono esauriti sulla sua persona, ma hanno sempre coinvolto la sua opera: il suo ministero è sempre stato animato dal medesimo soffio geniale e coraggioso del suo magistero, e viceversa. Integrità e pienezza di un uomo, di un sacerdote, che spiega in gran parte l'onda inarrestabile di simpatia che ha provocato. Ed è da notare come i consensi e gli attestati di solidarietà per ciò che egli è e per ciò che egli ha fatto si saldino spontaneamente l'uno all'altro, scavalcando le divisioni ideologiche e dottrinali, le diversità politiche e culturali. L'ecumenismo di Papa Giovanni è stato prima di tutto il bisogno che egli ha desIato, negli uomini più diversi fra loro, di trovare ciascuno conferma nell'altro a ciò che pensava e diceva dei valori fondamentali della vita, come quelli della verità o della pace.
U' Thant, Segretario Generale delle Nazioni Unite, dice di Papa Giovanni, appena morto: «Ben poche volte, nella storia, è avvenuto che l'affetto e il rispetto siano stati concentrati con tanta unanime esuberanza di consensi intorno ad una sola persona, così come ora sta avvenendo».
Si sono mossi gli uomini senza fede, che hanno comunque raccolto i frutti della fede di lui, e ne hanno fatto almeno la loro speranza. Gran parte dei credenti, in quell'ora, ha "scommesso", con cuore disarmato ed intelletto umile, sulla fede di Papa Giovanni, accettando quell'uomo visibile e umanissimo come un segno di ciò che non sapevano o non potevano credere. Egli è stato un po' quell'atto di fede che essi non avevano mai avuto la grazia di poter esprimere.
Si sono aperti anche i "fratelli separati", ed hanno trovato le parole stesse del Vangelo, incarnandole nella constatazione più attuale, per rendere omaggio a questo povero che ha arricchito di fraternità la Chiesa ed il mondo intero. Riascoltare le parole di uomini di fede e di uomini senza fede come ho voluto fare in questa conclusione della biografia di Papa Giovanni - significa rendersi conto davvero che l'"umile glorificazione'' del Vicario di Cristo non è stata - e continua ad essere - se non una spontanea dilatazione del Regno di Dio.
Marc Boegner, pastore della Chiesa luterana, ha scritto, davanti alla morte di Giovanni XXIII: «La morte di Papa Giovanni XXIII suscita una dolorosa emozione nelle Chiese protestanti in un numero immenso dei loro fedeli, che si sentono personalmente colpiti dal lutto della Chiesa romana. La bontà, l'umiltà, la generosità di cuore di Giovanni XXIII, l'accento profondamente umano dei suoi messaggi, la sua preoccupazione di non dire mai una minima parola che potesse offendere i suoi "fratelli separati", dare a tutti la convinzione che fra noi e il sovrano Pontefice della Chiesa cattolica si era stabilita una viva comunione di fede, di speranza e di amore. Giovanni XXIII ci era caro, ed è dolce pregare per questo Papa che aveva ricevuto il dono di saper amare. Tutti i cristiani non cattolici conservano sempre una fervida gratitudine verso il grande Papa che, chiaramente ispirato dallo Spirito Santo, ha preso la coraggiosa iniziativa di convocare il Concilio ecumenico e di creare il Segretariato per l'unità dei cristiani. Noi speravamo che Giovanni XXIII ricevesse da Dio le forze necessarie per compiere l'opera intrapresa. Nel nostro grande dolore, abbiamo tuttavia la certezza che qualcosa di irreversibile è stato compiuto e che presto il Concilio riprenderà i suoi lavori nello spirito con cui Giovanni XXIII ha animato la prima sessione».
Non hanno avuto parole meno commosse gli ebrei. Jacob Kaplan, Gran Rabbino di Francia, ha scritto: «La comunità ebraica di Francia si unisce, con dolorosi sentimenti, al grande lutto della Chiesa. Esprimo in primo luogo la grande ammirazione di cui Giovanni XXIII è stato circondato per la bontà luminosa che emanava dalla sua persona e per l'ardente amore verso l'umanità di cui era pieno. Egli ha saputo conquistare tutti i cuori, compresi quelli degli uomini che non appartenevano alla sua fede, e ai quali si era rivolto nella sua ultima enciclica nello stesso modo con cui si era rivolto al mondo cattolici. Come Gran Rabbino di Francia, mi sia permesso sottolineare particolarmente che egli non ha esitato ad impegnarsi per stabilire migliori rapporti religiosi fra cristiani ed ebrei. La soppressione dalla preghiera del Venerdì Santo della parola "perfidi" (che con il passar del tempo aveva acquistato un significato peggiorativo) ne è stata la prima tappa, che doveva essere seguita da una dichiarazione che condannava solennemente l'antisemitismo. Preghiamo Dio perché l'opera generosa e umanitaria alla quale Papa Giovanni si è votato in tutti i campi, continui nello stesso spirito dopo la sua morte. Tutti i credenti vi vedranno la realizzazione della parola biblica: "Il ricordo del giusto è una benedizione"».
Il Gran Rabbino d'Egitto si associava a quello di Francia: «Nonostante le divergenze esistenti tra le nostre religioni, noi abbiamo nutrito profondo rispetto per Papa Giovanni, il quale ha sempre predicato il rispetto per le religioni, la uguaglianza delle razze e la pace mondiale».

LA BUONA TRISTEZZA

Le parole di cordoglio per la scomparsa di Papa Giovanni portano tutte il segno della tristezza. Il mondo s'è rattristato e si è sentito povero ed orfano, per quella morte. Prima delle parole della gioia e della speranza, com'è giusto nel contatto cristiano con la morte, la tristezza ha invaso il cuore degli uomini. Si tratta della buona tristezza che nasce dal realismo cristiano, il quale non ignora il vuoto che una creatura amata, andandosene per sempre, lascia sulla terra e nel cuore degli uomini.
Il vescovo Meletos, della Chiesa greco-ortodossa di Francia, così scriveva: «Sono profondamente rattristato per la dipartita di Sua Santità Papa Giovanni XXIII, che lascia in terra, nonostante, il suo troppo breve pontificato, un'opera piena di amore e di pace per l'umanità, un'opera che mirava a più stretti legami fra i cristiani del mondo intero. La sua memoria resterà come una luminosa pietra miliare, che i secoli non riusciranno a far dimenticare. E la gratitudine dell'umanità tutta lo accompagnerà in eterno».
Elie Karam, metropolita del Libano, riassume nella pace il senso e il dono di tutta l'opera di Papa Giovanni: «Il Papa della pace è salito al cielo. Preghiamo perché la sua opera per la pace e l'unità fra le Chiese resti viva sulla terra».
Buddisti e maomettani non sono rimasti neanche loro in silenzio.
I capi supremi dei due maggiori ordini buddisti della Cambogia hanno scritto: «Abbiamo appreso con profonda emozione la morte di Sua Santità Papa Giovanni XXIII, promotore della pace universale fra tutti gli uomini. Vi preghiamo a nome nostro e di tutti i fedeli buddisti di accogliere e trasmettere a tutto il clero cattolico le nostre condoglianze. Formuliamo preghiere per la pace dell'anima di Sua Santità. Chounnath e Phultes».
Anche un irriducibile anticristiano come Bertrand Russel ha trovato parole di rispetto e d'amore per Papa Giovanni: «La morte del Papa rattrista tutti coloro che desiderano vedere l'umanità sfuggire alle forze malvage del nostro tempo. Giovanni XXIII ha usato la sua autorità e la sua energia in favore della pace e contro le politiche che portano alla guerra e alla distruzione in massa».
Alexej Adjubei, quando apprese la morte del Papa, non poté non ricordare quell'ora passata con lui, e il calore che aveva respirato accanto a quell'uomo straordinario: «Papa Giovanni si stava adoperando per colmare le differenze fra le varie Chiese cristiane e si stava anche adoperando per la pace universale. Con lui il mondo ha perduto un grande uomo». Non manca, nel coro degli attestati di stima e di gratitudine, la voce di Krusciov. Il mondo politico, per un momento, sta superando barriere e frontiere, per accettare di compiangere con un'unica voce l'uomo che più d'ogni altro, da secoli, è riuscito a rendere eloquente e attuabile quella che i più credono soltanto un'utopia: la fraternità degli uomini.
Una delle voci più commosse, tra i "fratelli separati" è quella dei monaci di Taizé. Papa Giovanni li amava con rispetto e confidava nella loro umile attività. Restavano, anche per lui, tra i più vicini alla sperata unione. Davanti alla morte del Papa, il Priore di Taizé, fratel Schutz ha trovato parole evangeliche: «Giovanni XXIII ha voluto, con la sua generosa apertura verso tutti, stabilire un clima di pace e di riconciliazione. Uomo di profonda pietà, prendeva le sue responsabilità con una preghiera molto semplice, come mi confessava recentemente, aggiungendo subito questo commento: "Io converso con Dio, molto semplicemente, molto umilmente". Questa confidenza nel Cristo presente al suo fianco, e questa umanità pervasa di generosità per tutti, sono il segreto di un uomo che lascerà la sua impronta nella storia contemporanea. Quest'uomo provvidenziale nel nome di Giovanni, "colui che spera contro ogni speranza", ha veramente aperto un processo di riconciliazione».

SEGNO DI CONTRADDIZIONE

Tolti, davanti al feretro ancora aperto di Papa Giovanni, si sono posti la domanda che egli stesso, in tutt'altra prospettiva, si era posto dopo l'èco suscitata dalla Pacem in terris: troppo buono?
Non è affatto il caso dunque di ripetere una definizione fortunata quanto superficiale, cioè quella di Giovanni XXIII come "il Papa che piace a tutti". Giovanni XXIII non è affatto piaciuto a tutti; val la pena di ripeterlo ancora una volta; e questa è la riprova della sua evangelica autenticità, della convergenza del suo spirito con quell'essere «segno di contraddizione» per chiunque, come il Cristo, scelga e serva realmente la verità.
È vero che gli umili, i semplici, i poveri, i lavoratori hanno immediatamente percepito in Papa Giovanni una paternità che li prediligeva e che si faceva tenera e virile amicizia. Prendere atto di questo non significa far della demagogia. La predilezione del Cristo è andata alle stesse categorie di persone, in modo scoperto ed esplicito. Nulla, in questa dimensione, sarebbe nonostante le apparenze, più ipocrita di una astratta imparzialità.
È stata questa sua evangelica "parzialità" che ha persuaso il cuore dei non credenti, degli agnostici, comunque degli uomini del dubbio e della ricerca. In una pagina stupenda, il poeta Alfonso Gatto ha percepito il senso della risposta viva che c'era nella vita e nella morte di Papa Giovanni: la risposta alla sete degli uomini. «Egli - ha detto il poeta - è l'acqua che va incontro alla sete». Come il poeta, milioni di uomini, appena Papa Giovanni è sorto all'orizzonte della Chiesa, si sono messi a cercare, qualche volta senza rendersene nemmeno conto: «Lo cerchiamo nella trepidante attesa dell'ispirazione, nell'esercizio della parola che "vuol essere sostanziosa e non vana". E quel suo volere insistere nella cura delle "sante intimità col Signore", per tenersi "in tranquilla e amorosa conversazione con Lui" è forse il modo più umile e sorgivo di far vivere la preghiera apertamente, con la compiacenza di assaporarne la gioia e di comunicarla. È una fedeltà che non è mai abitudine ma "continua la comunione con Dio e con le cose spirituali", parentandole col Corpo Mistico. L'umiltà non s'è mai fatta così invidiabile: sono parole da inno. Questo era il suo contenuto: "Non desidero nulla di più o di meno di quanto il Signore continua a darmi". Ebbe a dirlo per i suoi ottant'anni, avvertendo nel corpo già l'inizio del male. E sembra che parli un navigante, intenerito dal tramonto e attento alla rotta della nave, educato a rassicurarsi con i suoi gesti di calma, a ritrovarsi nella sua misura. Il suo viaggio è finito alla casa dell'uomo. Egli bussa alla nostra porta».
Col Concilio egli ha dato la parola alla Chiesa. Lo ha scritto padre Congar, uno dei teologi "proibiti" fino a dieci anni prima, e per sua volontà "autore" teologico fra i più solerti ed acuti del Concilio: «Il Concilio è stato un dare la parola alla Chiesa. È stato il potere supremo di insegnamento e di legislazione esercitato, non dal Papa soltanto, ma dall'insieme dei vescovi col Papa. È stato un invito a completare la dottrina delle prerogative pontificie formulata nel Vaticano I, con una dottrina dell'episcopato. Sappiamo che questa dottrina prende la forma della "collegialità episcopale". Ma, in questo vocabolo che incarna un'antica tradizione, molte concezioni si scontrano,... Giovanni XXIII non ha preso nessuna posizione decisiva in tale dibattito: ha lasciato che il Concilio si orientasse liberamente, fiducioso nello Spirito Santo che dirige la Chiesa. Ma ha fatto scattare - e noi crediamo molto coscientemente - un processo di evoluzione che sembra tanto più irreversibile in quanto pare richiesto dalla situazione mondiale».
Per Raniero La Valle, con Papa Giovanni la Chiesa «ha gettato il suo cuore al di là dei nostri egoismi, al di là delle nostre studiate prudenze, al di là delle nostre timorose avanzate che talvolta si concludono in precipitosi ritorni. La Chiesa ha gettato il suo cuore tra gli operai, i contadini, gli artigiani, tra tutti quelli che vivono del loro lavoro; lo ha gettato tra i negri dell'Africa, tra gli affamati dell'Asia, tra tutti quelli che la disoccupazione o i miseri salari mantengono in condizioni di vita "infraumane"; e lì dobbiamo andare a riprenderlo, il cuore della Chiesa; di questa Chiesa che ad ogni svolta della storia si vorrebbe travolta, superata dai tempi; e che invece ritroviamo ad aspettarci al di là del crocicchio, sempre più avanti di noi, luce per i tempi che vengono».
Don Sirio Politi, l'unico "prete operaio" italiano, così scrive di Papa Giovanni, sotto l'emozione e la luce di quella morte: «Se fosse possibile scrivere una lettera come fanno i bambini a Natale quando scrivono letterine a Gesù Bambino ora che è in Paradiso vorrei scrivere una lettera a Papa Giovanni. E non sarebbe per dirgli molte cose, per chiedergli qualcosa di particolare, implorare la sua protezione: no, no; forse sarebbe soltanto per manifestargli una immensa gratitudine... Dio lo ricompensi Lui, Papa Giovanni, per la serenità e la dolce gioia della sicurezza diffusa nelle nostre anime di poveri cercatori forse troppo scontenti e inquieti e inquietanti. Ora camminiamo su una strada ben tracciata, abitiamo in una casa sicura; l'unica paura è quella di non essere degni e capaci di fedeltà alle sue consegne. Tanta gratitudine verso questo vecchio ottantenne, malato e stanco, che cedendo all'amore, ha aperto le braccia ad abbracciare il mondo. Noi, la Chiesa, siamo quelle braccia. Che Dio ci conceda di continuare senza paura e stanchezze quell'amplesso fino all'ultimo giorno, quello dell'agonia nostra e del mondo».

IL CORO DEI SEMPLICI

Mariarosa R., Milano, scrive a sua volta: «La mia è una voce sommessa, senza fanatismi. Vorrei che lo facessero santo nella più lieta semplicità com'è stata la sua vita e il suo esempio. Ho letto dei brani del giornale del defunto Papa e dei suoi discorsi, già valgono queste testimonianze spontanee e la sua vita per metterlo agli onori degli altari...».
Carlo Taddia, di Varese, osserva: «Non ho mai pregato per Lui, ho sempre rivolto a Lui fugaci pensieri e preghiere come a persona viva e buona che mi può aiutare a fare del bene e a vivere bene. Papa Giovanni XXIII come uomo si impone naturalmente come modello di vita, perché tutti troviamo in Lui un angolino nel quale ritroviamo noi stessi e ci sentiamo invogliati ad essere più buoni».
La "santità" di Papa Giovanni diventa, in queste lettere, il punto di paragone della bontà o dell'onestà di chi scrive. E pur essendo veduta come un'altissima vetta, è considerata "santità allo stato naturale", come d'altronde ebbe a dire anche il cardinale Suenens. Ecco come la pensa Luisa Grassi Statella di Roma: «Di Papa Giovanni ebbi modo di apprezzare l'infinita bontà, l'unica dote umana che mi commuove perché introvabile. Io non sono buona, neanche per sentito dire, perché non perdono le offese, mai! E quando vidi quel che faceva Papa Giovanni, mi parve di aver toccato con mano la bontà... E io che non pregavo mai, ogni giorno dico le preghiere al grande Papa...».
Egisto Mattoccia, alla notizia dell'istituzione del regolare processo di beatificazione per Papa Giovanni, scrive: «Non vorrei essere il prelato incaricato di demolire la santità di Angelo Giuseppe Roncalli... Egli è stato, nel pur breve pontificato, apportatore di riflessione universale, in un momento tanto cruciale quando si temeva una conflagrazione mondiale. Dunque, quali miracoli maggiori si attendono dal "santo" Papa Giovanni dopo la Pacem in terris?».
Giuseppe De Rita, di Roma, punta sul valore del magistero giovanneo proprio come elemento di santità: «Vorremmo che la sua santificazione fosse rivolta non solo al Papa buono e povero ma al Dottore della Chiesa. Non è il sentimento che ci spinge a volerlo santo, è il senso della fiducia e della forza che egli ha dato agli uomini nella loro marcia verso Dio, nella loro tensione al miglioramento individuale e collettivo, nella loro vita terrena e spirituale. Noi sappiamo che egli sarà sempre con noi, che quel che ci ha dato sarà l'asse di progressione della nostra vita, a Lui ci rivolgeremo sempre. Se la beatificazione dovesse essere solo l'approvazione ecclesiastica o la "licenza dei superiori" a far ciò, ebbene potremmo dire che non ci serve e che la Chiesa faccia pure le sue "istruzioni'' per autorizzare inostri figli a considerarlo santo. Noi vorremmo però che la Chiesa si facesse interprete del fatto che quel che ci ha dato, che quello che ci portiamo dentro non è il frutto del caso, non è il frutto di un uomo, pur grande, ma è il frutto della Chiesa stessa. La santificazione di Papa Giovanni come Dottore della Chiesa, come espressione dello Spirito nella comunità dei fedeli, per lasciarli più vicini a Dio; la santificazione non come riconoscimento di grandi virtù o di grandi miracoli ma come ulteriore testimonianza della validità della Chiesa nell'animo di tutti noi e nelle vicende del mondo».
Rosa Ciurcio, di Roma, riassume il senso della versione di amicizia che Papa Giovanni ha saputo dare alla paternità che ha diffuso nel mondo: «Amico nostro, amico mio, abbiamo trovato in lui un amico, qualcuno che ha capito ogni uomo. Vengo da un paese musulmano dove ho lavorato fra una popolazione poverissima che, al momento della scomparsa del Papa, è caduta nel dolore: abbiamo perduto un Padre. La religione, la fede differente non ha più contato a quel momento, Giovanni era l'amico di tutti, dei piccoli soprattutto, di quelli a cui nessuno fa attenzione. "Ci aveva amato senza conoscerci" dicevano, ed era profondo nel loro cuore. I musulmani, il giorno dei funerali, incontravano i cristiani e non si parlava che di lui, del Papa di tutti. Delle relazioni nuove e fresche, sbarazzate da ogni superiorità si sono stabilite in suo nome soltanto...».
I funerali di Giovanni XXIII

La "voce del popolo di Dio" si è fatta trasparente, per rendere omaggio a Papa Giovanni, soprattutto nei piccoli. Una mattina, a Roma, trovarono sulla tomba del Papa un ramo d'olivo. Lo avevano mandato i bambini della quinta elementare di Bisuschio, presso Varese, insieme ad un quaderno tutto scritto da loro, in cui avevano commentato alcuni brani de Il Giornale dell'Anima.
Una delle bambine scrive: «Io e la mia famiglia non siamo di religione cattolica, ma abbiamo avuto sempre la massima stima per Papa Giovanni e mio papà dice sempre che è morto troppo presto e che si sente ancora molto la sua mancanza. Io mi chiedo spesso se anche i bambini non cattolici hanno un angelo custode. Se non lo avessi vorrei tanto che Papa Giovanni mi prestasse il suo, adesso che è libero. Sento di averne tanto bisogno, anche perché la mia vera mamma è morta quando io avevo appena due mesi. Ora ho un'altra mamma, che mi vuole bene, ma se Papa Giovanni mi mandasse il suo angelo custode, mi farebbe tanto, tanto piacere. Mi sembrerebbe di avere un fratello e mi sentirei meno sola. Chissà se me lo presta? Ma come farò a capire se me lo manda? Io voglio bene agli angeli e aspetto almeno per qualche giorno quello che aveva Papa Giovanni».
Valeria - leggendo che Papa Giovanni scrisse «amerò i giovani come un mamma» - scrive: «Adesso ho scoperto il segreto! Quando saremo grandi racconteremo ai nostri bambini che il nostro Papa ci voleva bene come una mamma. Ma io lo avevo già capito quando lo guardavo alla televisione fra i bambini all'ospedale o nelle parrocchie di Roma. Bastava guardarlo. Ma più di tutto ricordo quel bel discorso della luna in piazza S. Pietro, quando ha detto ai grandi di andare a casa a dormire e di portare a noi la carezza del Papa. Che bel discorso! È stato il più bel discorso del mondo! Tutti sorridevano e piangevano di commozione. Nessuno lo dimenticherà più...».
Per Olimpia Papa Giovanni, senza saperlo, «era ricco, molto ricco, perché aveva dentro un cuore bello, splendente e prezioso come un enorme diamante. Ed il suo cuore ha arricchito tutto il mondo. Ho letto su una rivista della Carla pettinatrice che in quasi tutte le celle di un penitenziario c'era la fotografia di Papa Giovanni e i carcerati riuscivano persino a procurarsi i fiori freschi da mettere davanti. Si vede che anche loro hanno capito che il cuore di Papa Giovanni è sempre vicino a chi ha bisogno di pietà e di amore. A me sarebbe tanto piaciuto andare a Roma quando lui era vivo, per potergli baciare la mano, ma quando sarò anch'io in paradiso e lo incontrerò, allora gli bacerò il cuore». Il coro degli innocenti e dei poveri è il segno che la sua morte non ha fatto che dilatare il dono della sua vita. «La tomba non può contenere la sua eredità» ha garantito, a poche ore dalla morte, colui che mentre diceva questo non immaginava d'esserne presto il successore, Giovanni Battista Montini.
Come a san Francesco, "tutto il mondo gli va dietro". Chi scrive ha avuto modo, come forse coloro che leggono, di sperimentare, nei momenti più impensati, la "contemporaneità" di Papa Giovanni con tutti noi. Ha camminato e continua a camminare con noi, sulle nostre strade. La sua immagine entra con naturalezza dovunque, riconsacrando luoghi e cose sconsacrate dall'abitudine, dalla vergogna, dalla noia. Non gli rincresce d'essere finito persino sulla paccottiglia più discutibile, di sorridere dai monumenti più goffi e più brutti, dagli ambienti meno congeniali alla dignità di un Papa. È giunto persino sul vetro dei cruscotti di tanti autocarri, dove, di solito, dominano foto di attrici. Amministrazioni atee o agnostiche gli dedicano strade e piazze; la sua immagine olegrafica fa capolino dal portafogli consunto del contrabbandiere. Il suo sorriso e come un polline invincibile che nulla può arrestare.
Eccetto qualche irriducibile pauroso, tutti i volti si illuminano d'un sorriso al suo nome, mantenendo in circolazione il suo stesso sorriso patriarcale ed amico, quello che ha fatto coraggio a tanti disperati e che ha restituito fiducia e speranza a chi non aveva nemmeno più la forza di chiedere il silenzio della morte. Con lui la bontà "è tornata di moda", cioè si è ricominciato a credere nel bene come una forza piuttosto che come una debolezza ed un rischio. I "furbi" di tutta la terra - su tutti i versanti della vita - sono stati svelati come i veri ingenui, da questo "mite" che, disarmato, ha "posseduto la terra" secondo la garanzia di Cristo nella Beatitudine che per secoli ci è sembrata l'unica che non potesse avverarsi nel mondo.
Santo o no, secondo la prudente procedura del la Chiesa, ciò che importa è il suo dono, la pienezza del colloquio che ha aperto con noi e che ci ha insegnato a riaprire con Dio. Ha ragione un giornalista di quei sette citati più sopra: «Il riconoscimento della sua santità non serve a lui, ma serve a noi». Ci garantisce che siamo sulla strada giusta, che stiamo seguendo lo Spirito, non l'orgoglio. Ognuno è meno solo "sul cuor della terra", dal momento che tale e tanta paternità ci si è svelata e donata.
Ad ascoltare il cuore la memoria e la speranza non finiremmo più di parlare di lui. Ma forse ha ragione il card. Lercaro: a furia di elogi, anche se più che giusti, si è giunti, nei confronti di Papa Giovanni, ad un "punto morto". Le parole non bastano, le parole non servono. Ernesto Balducci afferma che «quando Dio manda uomini come Papa Giovanni non è certo perché si scrivano libri su di lui ma perché ci sia impossibile continuare a vivere e a pensare come se egli non fosse mai venuto fra noi».
È giusto, dunque, che finisca qui anche questo povero discorso su di lui. Ognuno non ha ora che da continuare, in fondo al cuore e nella fedeltà dei giorni, il discorso con lui.
Giovanni XXIII benedice la folla